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Mario Pilati
Quartetto per archi il La maggiore

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Mario Pilati, compositore di grande valore morto a soli 35 anni nel 1938, è stato vittima inconsapevole di un dopoguerra deciso a far piazza pulita di tutto ciò che aveva caratterizzato l'epoca precedente.


 

Mario Pilati nacque a Napoli il 16 ottobre 1903 da Antonio, rappresentante di commercio all’ingrosso, e da Pasqualina Pacella, terzogenito dopo i fratelli Clemente e Giuseppe e prima della sorella Elena. Fu ammesso appena quindicenne ad un corso avanzato di Composizione nella classe del M°Antonio Savasta del Conservatorio di Musica San Pietro a Majella, guadagnandosi l’attenzione del direttore M° Francesco Cilea con i suoi primi lavori che stupiscono tutt’oggi per la potenza evocativa e la straordinaria capacità di trattare la forma. Uno dei lavori giovanili, Sonatina per flauto e pianoforte, divenne il nucleo di quella che, 5 anni dopo, con l’aggiunta del primo tempo, divenne la Sonata per flauto e pianoforte, vincitrice del prestigioso premio Coolidge 1927. Il brano fu tenuto a battesimo nelle prime esecuzioni in Italia, a Roma e in seguito a Napoli, da Alfredo Casella al pianoforte e Marcel Moyse al flauto. Pilati aveva conseguito il Diploma nel 1923 e vinse il concorso per la cattedra di Composizione al Liceo Musicale di Cagliari dove restò per un biennio, incaricato anche di Storia della Musica e della classe di Direzione d’orchestra. Nel 1926 si stabilisce a Milano e vi si afferma come compositore, critico musicale, direttore d'orchestra, accompagnatore al pianoforte: qui diventa il primo maestro di composizione di Gianandrea Gavazzeni. Fu anche maestro di Giacomo Saponaro e Orazio Fiume, legati da reciproco affetto e profonda stima. 

Pilati vince ogni concorso a cattedra e ogni premio a cui si presenta: A sera su lirica di Antonio Fogazzaro, per orchestra, voci soliste femminili e coro femminile vince il Premio Bellini 1926; Quintetto in Re per archi e pianoforte trionfa al Premio Rispoli 1928; grazie a questi successi Pilati si affermai di fatto come uno dei giovani più promettenti della sua generazione. Al Premio Coolidge, vinto nel 1927 con la Sonata per flauto e pianoforte, erano stati premiati in precedenza importanti compositori quali Stravinskij, Ravel, De Falla, Bartok, Bloch, Hindemith e, tra gli italiani, Casella, Pizzetti, Malipiero.

Grazie alla Sonata per flauto, eseguita nei concerti organizzati dalla mecenate Mrs. Coolidge a Chicago e a New York, anche Sergej Aleksandrovič Kusevickij si interessò al giovane compositore italiano, dirigendo alla Symphony Hall di Boston la Suite per pianoforte e archi di Pilati. Kusevickij fu alla testa della Boston Symphony Orchestra il 13 e il 14 febbraio 1931 con solista al pianoforte Jesus Maria Sanrom.

Nel 1930 il Quintetto in re rappresenta l’Italia al Festival di Musica Contemporanea di Oxford; mentre Preludio, Aria e Tarantella per violino e pianoforte, trascritto per orchestra, conoscerà un gran successo al Teatro Adriano di Roma, nel 1937, diretto da Victor De Sabata (che, dopo la morte dell’autore, lo dirigerà ancora alla Scala e in tournée europea).

Nel 1933, vinta la cattedra di Contrappunto, Fuga e Composizione Pilati si trasferisce a Palermo dove inizia anche una fortunata attività di concertista in duo con il violinista Guido Ferrari, secondo violino del Quartetto Poltronieri. Nel 1938 il Concerto in Do maggiore per orchestra viene eseguito, su invito di Goffredo Petrassi e diretto da Dimitri Mitropulos, al Teatro La Fenice, per il Festival di Musica Contemporanea di Venezia, ultima sua grande soddisfazione. Questo evento rappresentò un vero trampolino per Pilati: convinto che lo studio della composizione dovesse essere coadiuvato dalla consapevolezza storica dell’evoluzione delle forme musicali, affermò che solo l’acquisita coscienza della “ininterrotta continuità della Storia” e la fede nella “virtù germinale della tradizione” che da essa discendeva avrebbero consentito di apportare un proprio significativo contributo al progresso dell’arte e di raggiungere quelle posizioni di «nuovissimo e insospettato avanguardismo» che Pilati, dopo il Concerto in Do maggiore, orgogliosamente rivendicava per sé nel panorama della musica contemporanea italiana (lettera a Gavazzeni del 31 ottobre 1937). Il 29 dicembre 1932, in una lettera a Gavazzeni, Pilati condanna il manifesto antimodernista diffuso da Alceo Toni attraverso Il Corriere della sera e La Stampa del 17 dicembre 1932: degli editoriali lo indispettirono la firma che Pizzetti si era «fatta sfuggire», e ne deplorava il «tono predicatorio». Auspicava inoltre una maggior sostanza concettuale, che sarebbe stata tanto più necessaria in quella battaglia ingaggiata contro un «nemico intelligente» (lettera a Gavazzeni del 26 gennaio 1938).

Trasferito di nuovo al Conservatorio di Napoli, vi restò solo per pochi mesi: provato da un tumore diagnosticatogli due anni prima, Mario Pilati morì il 10 dicembre 1938 a soli 35 anni.


 

Il 27 dicembre 1928 Mario aveva sposato Antonietta Margiotta (nella fotografia presso la casa di Pontevico, nella bassa bresciana); dal matrimonio nacquero le figlie Annamaria, Laura e Giovanna. Durante il periodo di permanenza nella casa di Pontevico Pilati completò il suo Quartetto in La per archi, oggetto della presente edizione. 

Il manoscritto presenta la dicitura «Napoli inverno 1930 - Pontevico estate 1931». La prima esecuzione in memoriam si tenne a Firenze, nel 1939, durante la V Rassegna Musica Contemporanea, tenuta a battesimo dal Quartetto  “Ars Nova”. Al momento della prima esecuzione si ammalò uno dei violinisti e chi dovette sostituirlo non fece in tempo a studiare tutta la parte, motivo per cui ne venne eseguito solamente il primo movimento. Si dovette attendere l’esecuzione napoletana del Quartetto Gagliano, per ascoltarla finalmente per intero, nel 1941.

A Cremona Mario Pilato e Antonietta Margiotta vissero da sposati per alcuni mesi e, in un piccolo appartamento di Via Dante, nacque Annamaria (nella fotografia a destra).

Durante la residenza tra Cremona e Pontevico Pilati ebbe modo di approfondire il proprio rapporto di amicizia con il bresciano Giovanni Tebaldini (Brescia, 7 settembre 1864 - San Benedetto del Tronto, 11 maggio 1952), allievo di Amilcare Ponchielli, collaboratore di Marco Enrico Bossi e uno dei principali esponenti del Movimento Ceciliano.

Tebaldini, nella sua lunga esistenza di intellettuale impegnato, si era posto anche l’obiettivo di formare le nuove generazioni, avviandole verso gli alti ideali musicali a cui credeva profondamente. Quali fossero è presto detto: operare per la reviviscenza della più nobile tradizione da cui trarre energie per un’evoluzione coerente.

Con la competenza, l’integrità morale, l’entusiasmo e la capacità di comunicare riusciva ad attrarre l’attenzione dei giovani compositori e musicologi. Esemplare era stato il sodalizio con Ildebrando Pizzetti, ma, non meno intenso, anche se di più breve durata, quello con il giovane Mario Pilati. Tebaldini, trasferitosi a Napoli su invito del poeta Salvatore Di Giacomo e di Emilia Gubitosi, tra il 1925 e il ’30 ricevette da Cilèa la cattedra speciale di Esegesi del Canto gregoriano e della Polifonia palestriniana. Quasi certamente in quel periodo Tebaldini conobbe Mario Pilati, promettente allievo del Conservatorio “San Pietro a Majella”, talmente deciso a seguire la vocazione di musicista da mettersi contro il padre che lo avrebbe voluto contabile. Infatti, in una lettera del 16 marzo 1926 alla promessa sposa Antonietta Margiotta scriveva: “Torno ora dal conservatorio ove sono stato a sentire una lezione di Canto gregoriano del maestro Tebaldini”.

La sua apparizione nell’universo musicale è quella di una luminosa meteora che si spegne nel momento di massimo fulgore, dopo aver lasciato tracce indelebili.

L’incontro tra Tebaldini e Pilati fu significativo per entrambi. Il sessantenne maestro bresciano trovò nel giovane il terreno fertile e la disponibilità ad accogliere e diffondere il suo messaggio, per la verità non sempre compreso, di intransigente restauratore e insieme di innovatore; Pilati, ispirandosi alle voci più autentiche della nostra tradizione popolare e ai modi della grande musica strumentale del passato, esplorava felicemente nuove dimensioni. 

L’amicizia Tebaldini-Pilati fu autentica, funzionale al lavoro e caratterizzata da un forte legame umano. Non si affievolì neanche quando si trovarono geograficamente distanti. Nel dicembre 1928, al matrimonio di Pilati, Tebaldini fece le veci del padre, assente per i contrasti con il figlio. E seguì con grande affetto, riconosciuta autorità e apprensione gli eventi lieti e tristi della sua vita: la nascita delle figlie, il successo delle esecuzioni, le nomine a questo e a quel conservatorio, la malattia che lo porterà via. 

Il 1° agosto 1936 da Palermo Pilati gli scriveva: “[…] Ho rievocato anch’io i giorni non lontani, ma vivi nel ricordo (eppure già sommersi dall’onda del tempo), in cui ci facevamo tanta buona compagnia, noi isolati e indipendenti spettatori delle quotidiane agitate vicende che avevano a testo il vetusto edificio all’insegna dell’ “Alice fresca”… E ho ricordato le nostre sedute di esami, lunghe, noiose, interminabili, ma pur rallegrate dal vostro inesauribile e corrosivo buon umore. Fu proprio allora che il sottoscritto vi inoculò il demoniaco gusto dell’estratto musicale, da Voi poi elevato a monumento. […]”.

Il 15 ottobre dello stesso anno: “[…] Lavoro poi molto, in parti uguali, ad un trattato di contrappunto commissionatomi da G. M. Gatti per una collezione musicale edita da Tumminelli, ed alla mia prediletta opera napoletana. […] In quest’anno vedrò pubblicato da Ricordi sia il “Concerto” stesso che altre opere [?], nonché alcune mie trascrizioni dei “Capricci” paganiniani e una abbondante raccolta di pezzi pianistici da Carisch. Come vede, per quanto esiliato quaggiù, non me ne sto inattivo. […]”

Il 28 dicembre 1938 Tebaldini scriveva alla Signora Antonietta: “[…] Dopo il mio accorato telegramma del g.no 11 da Milano, avrei dovuto scriverLe un po’ a lungo, dirLe, esprimerLe il mio doloroso rammarico innanzi alla triste realtà - che pur preveduta – ci ha d’un tratto piombati nello sgomento il più tragico. Povero… caro Amico! Avevo offerto al Signore la mia stessa esistenza pur di salvare la Sua a Lei, Sposa affezionata, alle Sue bimbe, all’Arte. Dio ha disposto diversamente. […]”

il 31 gennaio del ‘39 ancora rammaricato: “[…] ho perduto il mio più autorevole assertore e difensore”.

Fittissima fu la corrispondenza con l’amico e protettore Alfredo Casella e con altri grandi musicisti contemporanei. In particolare con Franco Michele Napolitano (Gaeta, 22 gennaio 1887 – Napoli, 16 marzo 1960), maestro di Nino Rota e dedicatario della sua Sonata per organo. Napolitano fu organista della Basilica Santuario del Carmine Maggiore dal 1913 e divenne un concertista di livello internazionale, nel 1918 fondò insieme alla moglie, Emilia Gubitosi, l'associazione "Alessandro Scarlatti", di cui fece parte anche Tebaldini.

 

 

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