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È necessario risalire a radici ottocentesche per comprendere il valore della posizione storica di Franco Margola (Orzinuovi [Brescia], 1908 - Brescia, 1992): la sua figura si ricollega infatti a quel filone della cultura musicale italiana che fin dall’800 si interessò particolarmente al repertorio strumentale, fiorendo negli ambienti ristretti degli istituti musicali, dei conservatori e delle varie Società dei Concerti appositamente sorte nelle diverse città. Come allievo di violino a Brescia presso quell’Istituto Musicale ‘Venturi’ che era stato fondato da Antonio Bazzini (il grande violinista ammirato da Schumann e la cui produzione era considerata l’unico degno contraltare all’operismo di Verdi), Margola aveva fin da giovane respirato quell’atmosfera culturale che nel secondo ’800 e nel primo ’900 aveva rappresentato in Italia una nascosta ma vitale alternativa al dilagare del melodramma: suo maestro fu infatti Romano Romanini (1864-1934), un compagno di studi di Arturo Toscanini che si era dimostrato un esponente di spicco dello strumentalismo ottocentesco. Chiamato a Brescia dallo stesso Bazzini a dirigere l’Istituto ‘Venturi’, Romanini vi aveva mantenuto per circa quarant’anni quel ruolo carismatico di guida spirituale che Bazzini aveva svolto per il quarto di secolo precedente e, ormai sessantenne, aveva certamente trasmesso al giovane Margola da un lato un prudente atteggiamento di diffidenza per le espressioni di esasperato e decadente sentimentalismo, dall’altro un profondo senso di rispetto per la tradizione classica che in quegli anni pochi manifestavano.

È in questo contesto che nacque la Piccola suonata per violino e pianoforte dC 8, composizione che pur nella sua brevità, compendia bene la prima fase della formazione musicale di Margola, quella appunto legata alla città di Brescia e all’Istituto ‘Venturi’: in verità l’anziano e accigliato Romanini non era riuscito ad imporsi come figura di riferimento per il solare ed estroverso giovane Margola, nemmeno sul piano prettamente artistico. L’allievo ventenne vedeva forse il maestro ancora inevitabilmente legato a forme di un tardo romanticismo un po’ manierato e spesso virtuosistico, e a quel modello sembrava preferire il linguaggio più essenziale e asciutto delle forme classiche; forse proprio il ricordo del severo maestro stava all’origine del dichiarato scarso amore di Margola per il violino.

E così questa Piccola Sonata, opera non certo ambiziosa composta probabilmente intorno al 1929, anticipa gli stilemi essenziali di quello che sarà il linguaggio tipico del Margola maturo: rinuncia ad ogni forma di virtuosismo, concisione, essenzialità, immediatezza di espressione senza inutili ostentazioni di vuoto tecnicismo, grande senso di equilibrio formale.

A parte questo primo saggio giovanile, tutte le altre composizioni raccolte in questa breve antologia di musica cameristica (molte delle quali qui registrate in prima assoluta) appartengono alla produzione tarda di Margola, collocabile un cinquantennio più tardi, quando di acqua sotto i ponti ne era passata tanta, sia dal punto di vista della storia della cultura musicale, che di quello delle esperienze personali del compositore.

Ma il linguaggio compositivo di Margola non subì svolte di particolare rilievo.

Dopo qualche ammiccamento negli anni Cinquanta verso le moderne tecniche della dodecafonia, dalla quale non si lasciò tuttavia mai sedurre completamente, egli era tornato sul più sicuro terreno della musica tonale, sempre utilizzata con quel grande senso di libertà e spigliatezza che lo salvaguardava da qualsiasi rischio di rigido accademismo.

Piuttosto, Margola si dilettava a sperimentare le più diverse forme di combinazioni strumentali, stimolato forse più dalle sollecitazioni dei numerosissimi allievi, che da un reale interesse verso la timbrica degli strumenti. In particolare, la chitarra sembrò rappresentare una vera e propria scoperta che condizionò gran parte della sua produzione più tarda.

Ecco allora, tra le innumerevoli composizioni, la Sonata per violino e chitarra dC 242, scritta intorno al 1979 su invito dell’editore Zanibon di Padova, nella quale già la classicissima struttura in tre movimenti (Allegro-Adagio-Allegro) tradisce un impianto pienamente tradizionale, senza velleità di innovazioni stilistiche o compositive di sorta. L’uso tuttavia della chitarra, anziché del tradizionale pianoforte, alleggerisce notevolmente la tessitura sonora dell’insieme, sottolineando quell’essenzialità che già si era rilevata nella giovanile Piccola suonata del 1929, e che rimase sempre uno degli ingredienti più apprezzati della produzione margoliana.

Da questo punto di vista, anche la Fantasia e l’Improvviso dC 255, più o meno risalenti allo stesso periodo - cioè tra il 1979 e il 1980 - intendono porsi come brevi piccoli saggi di equilibrio timbrico, di non facile realizzazione, dal momento che l’esile sonorità della chitarra difficilmente può competere con la potente sonorità del pianoforte. Ma queste erano le piccole sfide che stimolavano la creatività margoliana, e che lo portavano alla composizione di queste brevi pagine che deliziano l’ascoltatore, ma ancor più gli esecutori che vi trovano la realizzazione più compiuta di quella che è l’essenza del linguaggio cameristico: il dialogo tra le parti, l’equilibrio sonoro degli strumenti, il gusto di collaborare e non primeggiare uno sull’altro.

L’intento didattico non è qui dichiarato, né forse del tutto intenzionale, ma certamente efficacissimo. Nel caso delle due composizioni sopra accennate, fu l’incontro e poi l’amicizia con il chitarrista Guido Margaria, ottimo e appassionato didatta del suo strumento, a stimolare il compositore: ciò che usciva dalla penna di Margola, non erano dunque opere destinate al concertismo, o all’espressione di chissà quali profondi significati artistici, ma semplici e potremmo dire quasi artigianali prodotti destinati a musicisti, anche giovani allievi e non necessariamente virtuosi, animati dal puro gusto del far musica assieme.

Per tornare alle combinazioni e agli equilibri timbrici, la sfida per Margola era ancor più stimolante ed evidente nel repertorio che vede come strumento protagonista il mandolino, strumento dalla sonorità ancor più esile e tintinnante della chitarra, ma forse per questo ancor più congeniale alla creatività degli ultimi anni del compositore bresciano.

Nel caso dei Tre pezzi per mandolino e pianoforte dc 263 - e dell’Adagio dC 263a che ne costituiva il brano centrale e che per qualche ragione fu scartato e sostituito - fu il mandolinista Carlo Bonati a commissionarli espressamente a Margola, anche in questo caso nei mesi a cavallo tra il 1979 e il 1980. Come nell’opera per violino e chitarra più sopra citata, anche qui lo schema con cui Margola diede forma alla composizione era quello classico e ben collaudato dell’Allegro-Adagio-Allegro: le proporzioni erano tuttavia talmente ridotte, che egli non ritenne di dare ai tre pezzi l’ambizioso titolo di Sonata, come dichiarò espressamente in una lettera all’editore Zanibon: “il titolo che proponi ancorché seducente è troppo impegnativo per un lavoretto del genere. Inoltre non vi è né la struttura formale né il senso di una Sonata per il che è preferibile il titolo Tre Pezzi per Mandolino e pianoforte…”.

Diverso è il caso della Grande Sonata per mandolino e chitarra dC 314, composta nel dicembre 1982, dalle proporzioni ben più ampie, anche se forse l’aggettivo “grande” venne aggiunto con quella sottile vena ironica che spesso caratterizzava il Franco Margola uomo. È la stessa ironia con cui egli propose il pezzo all’editore Zanibon (questa volta invano): “Mi sono riconciliato col mandolino (che detestavo) quando ho scoperto che anche il collega Beethoven ha scritto per tale strumento pur evitando di trattarlo alla napoletana così come ha fatto il sottoscritto...”. A parte il gioco di mettersi al pari con il “collega” Beethoven, Margola era veramente orgoglioso di questo pezzo, effettivamente ben riuscito, e a Zanibon precisava: “Questa Gran Sonata ha un torto; è veramente grande (17 pagine); è un’opera di grande respiro che fila dritta senza interruzioni…”.

Di questa Sonata, è il vivace piglio ritmico che cattura subito, ma a ben vedere potremmo dire che anche il Moderato per mandolino e pianoforte dC 731 “fila dritto senza interruzioni” e in modo convincente. Come la sorella Romanza senza parole dC 732 si tratta di un’opera inedita e non datata, che tuttavia possiamo collocare all’epoca immediatamente successiva alla composizione della Gran Sonata per mandolino e chitarra - quindi al 1984-1985 circa. Sono ambedue lavori ben riusciti, ma in particolare la Romanza senza parole si distingue per una sottile vena malinconica che è davvero rara in Margola, e che qui rende il dialogo tra i due strumenti quasi struggente.

Più scanzonato è invece l’Allegro per violino e chitarra dC 748, anch’esso non datato, inedito, e qui registrato per la prima volta, ennesimo esempio della facile creatività di un compositore che rifiutò di porsi tra le file dell’avanguardia, ma la cui inesauribile vena seppe soddisfare generazioni di musicisti in cerca di repertorio.

Era una scelta artistica ben definita e consapevole, che a suo tempo gli valse forse la disapprovazione di molti critici e colleghi, ma che nel tempo dimostrò a suo modo di essere vincente. Ne è dimostrazione l’ultimo brano qui proposto: il Minimal Choro è una simpatica e accattivante rielaborazione dell’Adagio dC 263 realizzata da Daniele Richiedei per mandolino, chitarra, violino e pianoforte. A circa quarant’anni di distanza, la musica di Margola ancora coinvolge e suggestiona le giovani generazioni, a riprova che la sua arte ha saputo superare il suo tempo, ed è ormai entrata nella storia.

 

 

 

 

Per le edizioni DaVinci sono stati editati quattro volumi, contenenti alcune delle migliori composizioni rimaste inedite selezionate tra decine di manoscritti.

1) Musica con mandolino

2) Fantasia seconda per chitarra e pianoforte

3) Sonate per 2 chitarre

4) Musica per violino e chitarra

Per ulteriori info:

https://davinci-edition.com/scores/

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Fantasia Dc261. Giacomo Ferrari - piano / Gabriele Zanetti - guitar - Franco Margola
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